Se c'è chi spera in un'apertura europea alla pubblicità sull'etico, il presente parla di restrizioni, anche notevoli, negli Stati Uniti, dove pure è ammessa da tempo. In vista della nuova regolamentazione, che appare ormai inevitabile, le aziende statunitensi stanno scoprendo una modalità di comunicazione che suona molto famigliare all'operatore europeo:  il pharma cause marketing. La denominazione è in parte oscura, ma indica le iniziative in cui su un tema specifico si ha la collaborazione tra un soggetto con fini di lucro e uno non profit. Il che, applicato al settore farmaceutico, significa mettere assieme, per campagne di disease awareness, il produttore e l'associazione di pazienti potenziali destinatari del farmaco. Nulla di nuovo, in effetti, per gli europei.

Se la pubblicità diretta al consumatore ha subito le pesanti critiche che hanno condotto all'attuale ipotesi di nuova regolamentazione, nemmeno questo approccio è esente da censure. Uno dei più attenti osservatori del mondo del farmaco e della tutela della salute in genere, la giornalista Lynn Payer, ha già bollato questo sistema come uno dei principali mezzi per creare emergenze sanitarie dal nulla. Battezzata disease mongering, questa pratica tende a sensibilizzare l'opinione pubblica per fare in qualche modo pressione sul decisore politico dipingendo la malattia come peggiore di quanto non sia oppure esaltando l'efficacia del farmaco al di là delle evidenze cliniche. A volte con esiti anche amaramente comici: molti, in Italia, ricordano ancora un comunicato stampa in cui, non sapendo come attirare l'attenzione su una malattia, si sottolineava che era la causa di un decesso al giorno, che su 55 milioni di abitanti, proprio un'emergenza non si poteva definire, pur con tutto il rispetto per chi ne è stato colpito.

Ovviamente, non tutte le iniziative vanno in questa direzione ma è bene che i rapporti siano chiari. Non a caso il codice di autoregolamentazione della British Pharmaceutical Industry, nella revisione del 2005, è entrata nel merito di questi rapporti, ponendo una serie di requisiti. Come nel caso dei rapporti con i medici, si stabilisce che eventuali finanziamenti devono essere pubblici, ogni evento che viene così sponsorizzato deve avere alla base un accordo scritto che ne definisce la natura e gli scopi. Fino a oggi, negli Stati Uniti, i pazienti e i loro rappresentanti non erano tenuti a dichiarare eventuali rapporti economici con aziende nel momento in cui prendevano posizione, e la questione preoccupa non poco gli esperti americani per diversi aspetti. Il primo è che l'opinione pubblica è abbastanza maldisposta: un'indagine demoscopica di Envision Solutions ha riscontrato che il 43% dei cittadini ritiene che i finanziamenti alle associazioni di pazienti abbiano il solo scopo di far aumentare le vendite di farmaci e solo il 21% ritiene che siano una dimostrazione dell'interesse dell'azienda per la causa rappresentata dall'associazione non profit. Inoltre, recentemente la stampa ha rivelato alcuni casi in cui l'accordo tra associazioni e industria era occultato (non bene, evidentemente) e ha suscitato una diffidenza generalizzata verso questo genere di iniziative da parte dei media.
In sostanza, anche per evitare che si proceda a una regolamentazione ope legis, ben venga il pharma cause marketing, dicono gli analisti, purché da subito sia fatto alla luce del sole.

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