E’ dalla fine degli anni ottanta, più o meno, che in tutto il mondo industrializzato la spesa sanitaria è diventata un elemento critico. Di più in paesi come gli Stati Uniti, meno nei paesi europei (questione di organizzazione dei sistemi sanitari). L’idea di razionare le prestazioni, che non piace in linea di principio a nessuno, viene spesso contrastata mostrando come alla spesa sanitaria crescente sia corrisposto, nel tempo, un aumento dell’aspettativa di vita. Il che è vero: gli 80-85 anni che in media si raggiungono in Occidente erano un miraggio anche soltanto negli anni trenta del secolo scorso. Argomento interessante soprattutto negli Stati Uniti, dove a dispetto di un sistema abbastanza inefficiente sul piano dell’equità, la spesa aumenta a un ritmo superiore. Uno studio viene ora a dettagliare l’effetto della spesa sanitaria in termini di aspettativa di vita, e lo fa per il periodo che va dal 1960 al 2000, dividendolo in 4 decenni, e per fasce di età: alla nascita, a 15 anni, a 45 e a 65. Ma il calcolo non è semplice come può sembrare, anche perché non è che l’aumento della vita dipenda soltanto dalla medicina o dalla sanità. Contano tantissimo la situazione abitativa, le condizioni di lavoro (si pensi soltanto alla differenza tra usare un tornio o lavorare con la lima), i trasporti, l’istruzione.... I ricercatori hanno assunto, per ponderare l’effetto della spesa sanitaria, che per ogni anno di vita guadagnato, la spesa sanitaria conti al 50%, che per la verità sembra un’ipotesi anche abbastanza generosa.


Ed ecco i dati: in media, dal 1960 al 2000, l’aspettativa di vita è aumentata di 6,7 anni. Depurando dall’inflazione, la spesa sanitaria che ciascun cittadino ha determinato nell’arco della vita è aumentata, sempre in media, di 69.000 dollari e ogni anno di vita guadagnato è costato 19900 dollari. Ma è la media, perché l’anno in più che nel 1970 si “comprava” con 7400 dollari, ne costava 36000 nel 1990. Poi un anno di vita in più non costa la stessa cifra a tutte le età: ne costa 31.600 a 15 anni, 53700 a 45 e 84700 a 65, sempre facendo la media per tutti i periodi. I ricercatori hanno anche valutato attraverso quali aspetti della pratica medica si è determinato il maggior guadagno (migliori terapie per le infezioni o le malattie cardiovascolari). Il risultato è stato che il singolo più importante contributo si deve all’azione sulle malattie cardiovascolari, che dei famosi 6,97 anni ne hanno portati a bilancio poco meno di 5; subito dopo viene il miglioramento dell’assistenza e delle cure neonatali (1,31 anni).


Detto questo, gli autori concludono che, in larga misura, il gioco vale la candela, con la sola eccezione, forse, dell’ultima fascia d’età, i 65 anni. Il fatto che un anno di vita guadagnato a questa età costasse 145000 dollari nel 1990 pare fuori dai criteri di compatibilità economica. A parte il suono sgradevole di queste parole, il fatto resta. Mancano nello studio, però, altre considerazioni. Per esempio quelle relative al fatto che il grosso dell’aumento dell’aspettativa di vita si è avuto nel periodo 1970-1980 (3,12 anni). Questo significa che pensare a un progresso illimitato è un’illusione: ci sono dei limiti biologici che, evidentemente, è sempre più arduo forzare. Questa impostazione, peraltro, tiene conto di un andamento lineare del progresso che, peraltro, si è effettivamente prodotto negli ultimi decenni: dallo stent metallico si è passati a quello medicato, dalla prima statina alla successiva, con vantaggi marginali. E’ sempre possibile che a un certo momento si crei una discontinuità, analoga alla nascita degli antibiotici, anche in settori diversi e per ora bloccati come quello oncologico o quello delle demenze. Tutto è possibile, ma quanto probabile dipende anche da come saranno investite le risorse destinate alla ricerca.


Fonte
Cutler DM et al. The value of medical spending in the United States, 1960-2000. N Engl J Med. 2006 Aug 31;355(9):920-7.

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