Si ha un conflitto di interesse quando ci si trova in una condizione in cui il giudizio professionale riguardante un interesse primario (la salute dei pazienti o la veridicità dei risultati di una ricerca) tende a essere indebitamente influenzato da un interesse secondario (guadagno economico, vantaggio personale). Questa è ormai la definizione di conflitto d’interesse largamente condivisa e riguarda in particolare la ricerca clinica, soprattutto per quel che concerne la conduzione delle sperimentazioni. Di conflitti d’interesse è protagonista frequentemente l’FDA, visto che chi siede nel suo advisory board spesso ha legami finanziari con l’industria farmaceutica. E proprio per ovviare a questo problema l’agenzia statunitense ha annunciato l’imminente pubblicazione di linee guida attraverso le quali si dovrebbe definire quali legami sono consentiti e quali no a chi fa parte del comitato dell’FDA. Il New York Times si è occupato dell’argomento.
Quali legami tra industria e FDA
Il conflitto d’interesse salta agli occhi visto che l’FDA raccomanda l’approvazione di nuovi farmaci e che i voti dei membri dell’agenzia condizionano fortemente le quotazioni azionarie delle compagnie farmaceutiche. Con le nuove regole, in pratica, si dovrebbe stabilire in quali casi sia possibile avere legami finanziari per i membri del board FDA. Un fatto è sicuro, dicono all’FDA: con le nuove regole dovrebbe essere impossibile per chi riceve soldi dal marketing aziendale, per esempio per promuovere farmaci, far parte del comitato dell’agenzia. Se, invece, il legame riguarda semplicemente un finanziamento per la ricerca all’Università di appartenenza, non è necessaria una deroga. In pratica, precisano all’FDA, l’idea sarebbe di non escludere indiscriminatamente chiunque abbia un rapporto di qualche tipo con l’industria farmaceutica. “Anche perché” precisa Scott Gottilieb, uomo FDA, “ben pochi esperti accademici non hanno alcun legame con l’industria di settore”. D’altro canto, i critici si aspettano di più e non riescono ad accettare l’idea che per essere un buono scienziato si debba lavorare per l’industria farmaceutica. Un altro problema, poi, riguarda il fatto che l’FDA, citando problemi di privacy, spesso non rivela in base a quali ragionamenti viene concessa la deroga al divieto di rapporti con l’industria. Rimane così un velo di ambiguità che i detrattori non considerano accettabile. Ci vuole più trasparenza perciò. Ma con le nuove regole si dovrebbe finalmente riuscire a discriminare nei rapporti che spesso intercorrono tra mondo accademico e finanziario. La situazione, come premesso, è spesso ambigua. Wayne Goodman che per l’FDA prende in esame i farmaci psichiatrici, avrebbe bisogno di una deroga visto che un collega nel dipartimento di psichiatria di cui è responsabile è coinvolto in un trial con sponsor industriale. E questo basta a catalogarlo come in conflitto d’interessi; “un insulto alla mia integrità”, commenta Goodman. D’altro canto i responsabili delle associazioni di pazienti sostengono di non voler certo escludere soggetti competenti. Il problema è che l’FDA finora ha abusato della sua discrezionalità nello “squalificare” membri con significativi conflitti d’interesse. E gli esempi in merito non mancano, dicono nell’articolo del New York Times. Il problema risiede proprio nella crescente importanza che hanno sia l’industria sia gli advisory board nella ricerca medica e nel validare nuove applicazioni farmacologiche e la sicurezza dei farmaci. I ricercatori senza alcun legame finanziario ci sono e meritano più spazio e se proprio un rapporto deve essere accettato, l’importante è che sia palese.
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