Che cosa sono le PR? Sempre più spesso, parrebbe, marketing travestito. Eppure le due funzioni, almeno teoricamente, dovrebbero essere ben distinte, anche perché, se si esagera con la confusione, gli effetti possono essere controproducenti. Per esempio, creare interesse su una particolare condizione,  “far scrivere” i giornali e, magari, spingersi fino a indicare che assistono delle cure, può essere utile alle vendite, ma l’utilità è più o meno ridotta se chi paga per queste PR non ha in listino il leader di mercato. Queste considerazioni valgono soprattutto per iniziative come quella della rubrica del Wall Street Journal “Health Matters” (la salute conta), che qualche giorno fa proponeva le visite al medico occasionate da disturbi dell’erezione comme una provvidenziale occasione per avviare un check up su tutte le condizioni che possono soggiacere alla disfunzione erettile (diabete, ipertensione eccetera). E’ un’idea, ma è ovvio che pur essendo state nominate tutte e tre le molecole indicate per il disturbo, a beneficiarne sarà soprattutto il Viagra (non a caso citato nel titolo).

Come accennato, le pubbliche relazioni dovrebbero servire a migliorare la reputazione (o immagine) di un’azienda, sottolineare il valore della pipeline dell’azienda, così da attrarre investitori, aiutare l’opera di lobbying, in modo da favorire (o stoppare, va da sé) iniziative legislative o di altro genere che riguardano l’industria nel complesso o la singola casa; tener alto il morale dei collaboratori e, anche se tutti si augurano di no, fronteggiare le crisi. In questo ambito, però, sono sempre rientrate anche altre funzioni, come creare nell’opinione pubblica consapevolezza su qualche malattia o condizione (come nel caso della disfunzione erettile), guadagnare spazio sui media per la propria storia, che oggi stanno prendendo il sopravvento sulle  più tradizionali citate prima. In pratica, queste funzioni vanno a occupare terreni che confinano, se non si sovrappongono, con quelli riservati al marketing. Questo richiede un migliore coordinamento tra i messaggi lanciati dal marketing e quelli affidati alle PR. E’ vero che queste ultime raggiungono il pubblico mentre, per i farmaci etici, il marketing non può farlo, ma spesso si tende a dimenticare che nel pubblico ci sono anche medici e farmacisti e avere un farmaco con una personalità bifronte, o peggio un’azienda bifronte sul medesimo punto, non è inconveniente da poco.

C’è poi anche una questione di saturazione. Fino a 8-10 anni fa, il volume della comunicazione in ambito medico-sanitario era decisamente più contenuto; maggiore volume delle comunicazioni significa anche minore possibilità di ricezione da parte del destinatario. Soprattutto quando si tratta di richiamare l’attenzione su malattie, o presunte tali, che nessuno ha mai sentito nominare, sulle quali un bombardamento mediatico rischia di essere controproducente. Negli Stati Uniti molto ha fatto parlare una campagna dedicata alla “sindrome delle gambe senza riposo”, per la quale molti hanno lamentato un tono di allarme fuori luogo. Viene in mente l’aneddoto che raccontava un giornalista scientifico italiano, direttore di una testata specializzata. Una volta, non sapendo come presentare un evento legato a una malattia tutt’altro che grave e nemmeno troppo frequente, l’ufficio stampa incaricato disseminò un gran numeri do comunicati in cui si diceva che questa patologia era la causa della morte di “una persona ogni giorno”. Cioè una mortalità di 365 persone/anno, che su 57 milioni di italiani fa....

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