Grosso modo una prescrizione su cinque non riguarda le indicazioni approvate (anno 2001); negli Stati Uniti, certamente, ma il fenomeno difficilmente può essere confinato, anche se probabilmente le dimensioni non sono simili ovunque. Anche in Italia, in alcuni settori, quantomeno, è un fenomeno diffuso: per esempio, in campo pediatrico, come segnala da anni il progetto ARNO. E’ vero che in questi casi si tratta di un errore “forzato”, vista la scarsa sperimentazione che si conduce sui bambini. Può anche capitare che l’uso off-label sia solo apparentemente tale: è il caso, recentissimo, dei medici piemontesi cui l’Asl 8 di Chieri ha chiesto di rifondere la spesa per le prescrizioni di alendronato a pazienti uomini. Infatti, se è vero che la mota 79 dell’AIFA parla di pazienti di entrambi i sessi, il foglietto illustrativo menziona soltanto l’osteoporosi menopausale che, effettivamente, è di improbabile riscontro nella popolazione maschile.
Ma a parte i casi limite, il fenomeno esiste e, secondo una ricerca pubblicata sugli Archives of Internal Medicine, si può anche stilare una classifica delle classi terapeutiche per le quali si manifesta con maggiore frequenza. La classifica vede al primo posto i farmaci cardiovascolari e gli anticonvulsivanti (entrambi con il 46% di prescrizioni fuori dalle indicazioni approvate), mentre le singole molecole più coinvolte sono la gabapentina (83%) e amitriptilina (81%). Inoltre, ed è il lato più preoccupante, oltre il 70% delle prescrizioni off label non ha alcun supporto scientifico o quasi.Nel caso della gabapentina, l’80% delle volte che la si impiega fuori dalle indicazioni, lo si fa senza alcun supporto.
La ricerca non riusciva però a fornire spiegazioni, o meglio a indicare caratteristiche predittive della prescrizione off-label: l’età del farmaco poco influiva, e così la casa produttrice o l’eventuale campagna pubblicitaria al pubblico. Peraltro, vi erano anche usi off-label assolutamente ragionevoli e provati, soprattutto nel caso dei farmaci cardiologici. Spesso si sfrutta l’effetto classe: è ben possibile che un ACE-inibitore più datato manchi dell’indicazione per l’insufficienza cardiaca ma ciononostante, sia egualmente efficace. Probabilmente qui il fatto è che quando i farmaci non sono più coperti da brevetto si preferisce evitare di chiedere l’allargamento delle indicazioni, un aspetto al quale invece i produttori di generici dovrebbero forse prestare maggiore attenzione.
C’è poi anche il sospetto che in realtà a determinare la spinta alla prescrizione off-label siano ragioni commerciali. Oggi i tempi per rientrare degli investimenti sono piuttosto contratti, e se il mercato non risponde come ci si attende, ecco la ricerca di nuovi segmenti dell’utenza.
In quest’ottica, secondo alcuni osservatori, la prossima categoria interessata dall’allargamento improprio potrebbe essere quella dei farmaci per la disfunzione erettile, per i quali le vendite stanno rallentando. E così si sente parlare sempre più spesso di una funzione preventiva di queste molecole, ovviamente tutta da dimostrare. Resta da dimostrare se il gioco valga la candela: per ora almeno un caso sembra provare il contrario, quello dell’Evista (raloxifene, un moduilatore selettivo dei recettori estrogenici) di Lilly, partito con un’indicazione forse troppo conservativa (la sola osteoporosi). La promozione dell’uso off-label, in questo caso, è valsa l’intervento del Dipartimento della Giustizia statunitense. A maggiore cautela, almeno negli Stati Uniti, dovrebbero indurre anche altri aspetti, come la diminuzione del gradimento dell’FDA da parte del pubblico, che proprio sul piano della tutela della sicurezza è stata a torto o ragione messa nel mirino dai cittadini. Magari ci si può attendere un tentativo di recuperare il terreno perduto attraverso un aumento dell’attenzione.
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