L’esecuzione dei trial clinici risente, come è logico, delle normative vigenti sul farmaco anche in fase successiva alla commercializzazione. E’ questo il caso delle segnalazioni di eventi avversi, probabilmente uno dei temi più sensibili. E altrettanto probabilmente anche uno dei temi più importanti ora che gli studi si svolgono sempre più spesso in una dimensione multicentrica, spesso interessando anche aree un tempo escluse dal circuito della ricerca biomedica e clinica. Internazionalmente, gli eventi di cui qui si parla sono definiti Suspected Unexpected Serious Adverse Reactions (SUSAR) e cioè “sospette gravi reazioni avverse inattese”. E’ ovvio che precipuo interesse della case farmaceutiche sponsor dello studio far sì che le segnalazioni di SUSAR vengano inviate il più rapidamente possibile a tutti i ricercatori coinvolti, nonché agli enti regolatori o di vigilanza interessati.

Le differenze tra Europa, Usa e Giappone
Le prime differenze tra le tre grandi aree, Unione Europea, Stati Uniti e Giappone, si presentano già nella definizione di SUSAR. Per esempio, per la normativa europea e per quella statunitense l’aggettivo grave ricomprende qualsiasi ospedalizzazione, vale dire che se il paziente colpito da sospetta reazione avversa deve essere ricoverato, fosse anche soltanto per un monitoraggio, la reazione è considerata grave. Non così in Giappone, dove si considerano gravi le ospedalizzazioni che esitano in un trattamento di qualsiasi genere. Altra differenza è che per Stati Uniti ed Europa è grave qualsiasi situazione in cui il paziente sperimenti disabilità/inabilità persistente o significativa, in Giappone si ricorre a un termine grosso modo equivalente a disabilità, ma come ha insegnato la linguistica strutturalista, questo genere di sovrapposizione è solo apparentemente completa e rimangono comunque margini di incertezza semantica. Vi è poi il modo in cui considerare un evento inatteso. La definizione qui è comune tra le due aree occidentali: è inattesa una reazione avversa che non rientri tra quelle citate nella Investigational Brochure, e resta tale finché il comitato dello studio non aggiorna il documento inserendovela. Non così in Giappone, dove dopo la prima segnalazione ai ricercatori, la reazione diviene attesa, indipendentemente dall’aggiornamento del documento. Questo significa che cessano le segnalazioni come SUSAR e quindi con tempi bervi? Sì e no, in quanto tutto viene a dipendere dal fatto che la reazione avversa in questione ponga o meno a rischio la vita del paziente. Queste SUSAR fatali o potenzialmente fatali, in ambito Occidentale e in Giappone, vanno segnalate entro 7 giorni alle autorità preposte alla farmacovigilanza dei paesi interessati, ma nulla si dice a proposito dei termini della segnalazione ai ricercatori. Quanto alle altre reazioni gravi ma non fatali, vige ovunque il termine dei 15 giorni per la notifica alle autorità competenti, ma solo in Giappone si esplicita che il termine va rispettato anche per la comunicazione ai ricercatori.

Le segnalazioni spontanee nel postmarketing
Un altro aspetto importante sono le segnalazioni spontanee, ovviamente nel caso di farmaci già in commercio. Europa e Stati Uniti non prevedono che queste segnalazioni siano trasmesse ai ricercatori, visto che il farmaco ha già un’autorizzazione alla vendita, mentre in Giappone anche queste vanno riportate a chi sta svolgendo trial con ilm farmaco all’origine della segnalazione spontanea. La cosa rende inevitabilmente maggiore il carico dei ricercatori nipponici. Infine, in Giappone anche le segnalazioni che provengono dai consumatori, o comunque non da operatori medico-sanitari,  andrebbero riportate, sia pure a discrezione dello sponsor.

In definitiva, se sul piano delle definizioni e delle modalità, tra le tre aree si ravvisa una qualche omogeneità, il nodo resta la tempificazione delle comunicazioni. Di fatto soltanto la normativa statunitense pone 15 giorni come limite per la segnalazione delle SUSAR ai ricercatori coinvolti. Le normative giapponese ed europea parla rispettivamente di “senza ritardi” e di “prima possibile”. E su questo aspetto un’armonizzazione, e una minore vaghezza, sono senz’altro auspicabili.

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