Nelle grandi case farmaceutiche il marchio, il brand, riveste un grande valore, come in tutte le grandi aziende. Ma forse anche di più, visto che come accade in pochi altri settori, oltre ai benefici attesi del prodotto (la cura del paziente) entrano in gioco importanti benefici psicologici. Ciononostante, esiste una sostanziale sottovalutazione dello “stato di salute” del brand. Spesso, infatti, chi ha il ruolo di brand manager non attua periodicamente una rivalutazione di questo assett. Altrettanto spesso, poi, ritiene che questo sia compito della società di advertising ingaggiata dall’azienda, mentre in realtà il compito di queste agenzie è comunicare al meglio quanto l’azienda decide di comunicare. La struttura del brand, i suoi valori centrali, la sua rispondenza alle necessità devono invece essere oggetto di una valutazione innanzitutto interna. Affrontare eventuali problemi all’inizio significa evitare una perdita di immagine.
In sostanza, il brand manager deve chiedersi periodicamente se il marchio continua ad aggiungere valore presso il target di riferimento, cioè se può indurre il medico a prescrivere anche al di là dei benefici provati del farmaco. Questa verifica passa per diversi aspetti, a cominciare dalla corrispondenza della vision dell’azienda con quanto accade all’esterno: le aspirazioni dell’azienda sono ancora in sintonia con gli interessi del cliente? A questa domanda si può rispondere solo evitando di rinchiudersi all’interno della dimensione aziendale. La vision deve partire da presupposti realistici su ciò che si può fare e non soltanto su ciò che si vuole fare. I valori chiave del brand devono obbedire allo stesso principio: esprimono la personalità dell’azienda ma devono farlo all’interno del quadro delle aspirazioni espresse dal proprio target.

Anche le motivazioni che spingono alla prescrizione devono essere tenute in grande considerazione e in questo caso la domanda chiave non è “perché non vengono prescritti i nostri prodotti?”  bensì: “Che cosa spinge il medico a prescrivere gli altri?”. Questa rivalutazione, comunque, deve essere nel segno di un’evoluzione, non di una rivoluzione: cambiamenti radicali, aggiustamenti troppo vistosi rischiano di generare confusione più che curiosità e accettazione. C’è poi un aspetto cruciale: nel settore farmaceutico troppo spesso si stima il valore conferito al cliente soltanto in termini di benefici funzionali del prodotto (efficacia, sicurezza...), mentre il valore del brand si articola su tre elementi, il rapporto costo/beneficio percepito, i benefici funzionali e quelli emozionali. Negli Stati Uniti è stato coniato il “modello ACE”: Attributes, leading to Consequences, which deliver Emotional Benefits. Attributes sta per le caratteristiche e del prodotto, Consequences sono i risultati che il prodotto fa ottenere, i benefici funzionali, appunto, e le Consequences sono le conseguenze della funzionalità del prodotto, cioè i benefici psicologici per il cliente. Il valore del brand, in definitiva si ottiene sottraendo ai benefici (funzionali e psicologi) il prezzo, tanto maggiori sono benefici, tanto minore è il peso che il prezzo ha nel bilancio del marchio. I benefici, però devono risultare comprensibili al cliente, credibili e soprattutto essere un elemento di differenziazione rispetto alla concorrenza. Infine, c’è la comunicazione. A volte i messaggi promozionali non tengono nel dovuto contro i valori del brand, o addirittura li contraddicono. E questo vale per tutta la vasta gamma della attività di comunicazione: dalle campagne affidate alle agenzie all’attività degli informatori. In questo aspetto la parola chiave è coerenza, perché un brand in buona salute deve essere sempre percepito allo stesso modo all’interno dei diversi segmenti del mercato cui si rivolge.

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