Ogni anno, delle quasi 200mila domande di brevetto che arrivano all'Ufficio europeo, circa il 3-3,5% sono italiane e, nel campo della ricerca sanitaria e farmaceutica, negli ultimi tre anni, con la crisi e il taglio di investimenti e sovvenzioni, c'è stato un calo del 20% circa. A scattare la fotografia Claudio Germinario, consulente della Società italiana brevetti, intervenuto alla seconda Conferenza nazionale sulla ricerca sanitaria di Cernobbio. Secondo l'esperto, le cifre fornite dalle istituzioni «non raccontano la realtà. Ci sono moltissimi start up e spin off che usufruiscono di sovvenzioni europee e poi muoiono. Il dato più deprimente è che la grande azienda farmaceutica italiana non esiste più, la piccola industria vivacchia convertendosi sempre più alla produzione di farmaci generici e molti dei centri di ricerca presenti nel nostro paese sono stati chiusi». Una crisi che si avverte anche in ambito biomedicale, «dove la ricerca è molto più costosa e il calo di finanziamenti e sovvenzioni ha effetti drammatici». Se è vero, continua l'analisi, che «qualche debole segno di ripresa si è visto nel 2011, in futuro ci troveremo a far fronte ai brevetti cinesi. Basti pensare che ogni anno l'ufficio brevetti cinese riceve oltre 500mila domande interne».
Un quadro reso ancora più fosco dalla denuncia lanciata da Maurizio De Cicco, vicepresidente di Farmindustria, intervenuto alla presentazione dell'indagine nazionale sui pazienti oncologici realizzata dal Censis: «L'Italia non è un Paese che favorisce gli investimenti e il fatto di non aver avuto nessun riconoscimento in termini di defiscalizzazione per chi investe porta a preferire altri Paesi dove ci sono condizioni migliori».
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