«I prontuari regionali allungano ulteriormente le procedure per far arrivare un nuovo farmaco a disposizione dei cittadini». A dirlo è Lorenzo Mantovani, docente di Farmaeconomia all'Università Federico II di Napoli, durante il convegno ""Better regulation for innovation"" svoltosi ieri al Senato. «Spesso a livello regionale - spiega - si fa un taglia e copia della documentazione dell'Aifa e dell'Ema, ma il risultato è che si finisce per mettere in sospeso le procedure per circa 7 mesi. Tanto ci vuole infatti, in media, perché un farmaco venga inserito nel prontuario regionale.

Un tempo che potrebbe essere invece speso più utilmente per valutare la trasferibilità  dei risultati degli studi clinici ai pazienti reali, e gli esiti a lungo e medio termine come sopravvivenza». E per dimostrare quanto i prontuari regionali incidano anche sui costi, Mantovani richiama alcuni dati: «Lombardia, Friuli Venezia Giulia e la provincia autonoma di Bolzano non hanno il prontuario, e la loro quota di spesa farmaceutica ospedaliera è pari circa al 3,3% del Fondo sanitario regionale. Nelle regioni con i prontuari è invece del 4-6%».

In linea generale la regolamentazione regionale di accesso al farmaco crea parecchi problemi in termini di tempo e costi alle aziende, come rileva Davide Integlia di I-Com (Istituto per la competitività). «Lazio, Emilia-Romagna e Toscana sono le ragioni più ostiche da questo punto di vista - precisa - perché sono quelle con le procedure di valutazione più complicate circa le richieste di immissione in commercio dei farmaci ospedalieri, di fascia A e in distribuzione diretta con il prontuario regionale. La regolamentazione diversa tra regione e regione rallenta le aziende e i loro investimenti. Difatti nei Paesi con procedure più chiare e meno regionalizzate gli investimenti in innovazione sono più alti. La casa madre non investe soldi da noi, se le leggi cambiano in continuazione».

 

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