Quanto resta da vivere ai citotossici? Vita commerciale, ovviamente. Il quesito non è comunque peregrino, visto che i farmaci mirati (targeted drugs) a precisi obiettivi proteici sono ormai una realtà, se non nel mercato, nelle fasi avanzate di sperimentazione. Grazie all'aumento delle conoscenze genomiche, infatti identificare nuovi bersagli farmacologici è diventato più semplice. Tanto che all'ultimo congresso dell'American Association of Cancer Research sono stati discussi 26 di questi bersagli per i quali esistono farmaci attualmente che vantano almeno la sperimentazione preclinica.
Molto spesso i farmaci in questione sono sviluppati da piccole imprese di biotecnologie, anche se non si tratta soltanto di medicinali biologici, ma anche di piccole molecole tradizionali. Non stupisce dunque che l'azienda che nel 2007 ha avviato il maggior numero di studi di Fase I sia la Exelixis, seguita da vicino da ImClone system. Complessivamente, sono oltre 30 le case, piccole e grandi come Merck & Co, AstraZeneca e Genentech, che hanno avviato lo sviluppo di antitumorali.

Dalla loro, almeno in linea teorica, i nuovi antitumorali hanno un profilo di tollerabilità migliore rispetto agli antiblastici tradizionali e questo ha reso, per esempio, sensibilmente più rapide le procedure di registrazione. Ma non ci sono soltanto aspetti positive. Per esempio, per molte forme tumorali esistono diversi trattamenti tra i quali è difficile scegliere quello più adeguato; difficoltà che aumenta se si tiene prendete che in molti casi le vie seguite dai diversi farmaci si sovrappongono. Non a caso, quello che gli esperti lamentano in questo settore è la mancanza dii studi di comparazione. Peraltro, questi effetti vengono amplificati dalle procedure di mutuo riconoscimento. Una volta scattate, alle agenzie nazionali come l'AIFA resta la sola possibilità di contrattare il prezzo, e più spesso le condizioni di cessione, ma non altro. Recentemente, un esperto come Patrizio Piacentini, segretario della lombardo della Società Italiana di farmacia Ospedaliera ricordava come molto spesso i farmaci oncologici di nuova generazione siano usati fuori dalle indicazioni. Inoltre, l'impiego mirato dei farmaci mirati (l'allitterazione è voluta) presuppone indagini genetiche ad hoc, sia per individuare le resistenze, sia per valutare se il paziente rientra o meno nell'indicazione, magari per la presenza di mutazioni di un singolo nucleotide. E tutto questo richiede un aggiornamento delle tecnologie attualmente impiegate per le indagini genetiche: non è pensabile, infatti, ricorrere a sistemi a basso throughput, utili senz'altro nella ricerca, ma poco duttili in clinica.

E non è detto che anche quando si ha una posizione netta da parte degli organismi di valutazione,  come il NICE britannico, la sua applicazione sia pacifica. E' di questi giorni la singolare iniziativa di Jannsen Cilag sul suo Velcade (bortezomib), farmaco che ha ricevuto l'indicazione per il trattamento del mieloma multiplo. Il NICE, però, aveva obiettato che un tasso di successi attorno al 65-70% e un aumento della sopravvivenza di 3 anni (o 7 in sottogruppi molto particolari) non controbilanciavano un costo terapia compreso tra 18000 e 75000 euro. L'azienda ha risposto proponendo, per la prima volta nella storia della medicina occidentale,  la possibilità di rimborso del costo del farmaco in caso di inefficacia dopo tre mesi di somministrazione.
In effetti, si può concludere, l'oncologia sembra attualmente i settore di punta: costo dei farmaci innovativi, trasformazione della malattia da acuta a cronica, in un buon numero di casi, e alto impatto emotivo (che sign ifica possibilità di premere sul decisore politico). Un settore dove molto si innova, anche, come mostra il caso britannico, nel modo di vendere.

 

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