Grazie alle buone performance di Ranizumab, farmaco per il trattamento della degenerazione maculare senile, venduto a livello internazionale in co-marketing con Novartis, i profitti del terzo trimestre di Genentech sono aumentati del 66%, raggiungendo i 637 milioni di dollari. Ora però è arrivata una temporanea battuta d'arresto. E a denunciarla è lo stesso gruppo statunitense. La compagnia farmaceutica ha, infatti, pubblicato sul suo sito web, una lettera indirizzata agli specialisti delle malattie della retina, secondo la quale il farmaco potrebbe aumentare il rischio di ictus.

Per cominciare va detto che si tratta di un farmaco appena annoverato tra i dieci rivoluzionari per la medicina del 21esimo secolo, ed è una delle innovazioni top per il 2006. Genentech ne detiene i diritti sul mercato nordamericano, mentre a Novartis spettano quelli sull'Europa e sul resto del mondo. E, tra l'altro, la multinazionale svizzera aveva appena annunciato il via libera dalle autorità regolatorie europee alla commercializzazione del farmaco, precisando che il medicinale avrebbe raggiunto i paesi dell'Unione tra il 2007 e il 2008. In particolare in Italia dovrebbe sbarcare sul mercato nell'anno in corso. Ora arriva una parziale doccia fredda.

Ma come è stato possibile? I dati della stessa Genentech parlano di un fenomeno ischemico per l'1,2% dei pazienti trattati con alto dosaggio di ranizumab contro lo 0,3% di quelli trattati con un basso dosaggio. Una differenza statisticamente significativa. Il problema è che proprio l'alto dosaggio è quello in commercio: 0,5 mg per iniezione. Le azioni di Genentech hanno avuto una caduta dell'1% fino a 86,57 dollari. Ma l'azienda non si scompone comunque più di tanto, visto che, come sottolinea il portavoce, il foglietto illustrativo del farmaco contiene un ""warning"" a proposito del rischio cerebrovascolare. Il farmaco, del resto, è un farmaco di punta e ha fatturato per 380 milioni di dollari nel 2006, una somma che ha sopravanzato di gran lunga le più rosee aspettative.
Per ora, i dati disponibili che sono all'origine dell'allarme sono preliminari e riguardano 2400 pazienti seguiti per 230 giorni in media dall'inizio del trattamento. Ma lo studio deve essere ancora completato. Nel frattempo anche gli oftalmologi  non sembrano condizionati dalla notizia. Philip J. Rosenfeld, per esempio, che è uno specialista della retina attivo presso l'università di Miami, ha detto che le sue abitudini nella prescrizione del farmaco non cambieranno, visto che tra l'alta probabilità di cecità e l'1% di rischio ictus non c'è gara. I pazienti sceglierebbero, si dice convinto lo specialista, di tornare a vederci.

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