Venerdì 3 novembre, a conclusione dei lavori, si è svolta una tavola rotonda per commentare le esperienze presentate al convegno SIFO “Rischio clinico e terapie farmacologiche: quali tecnologie a supporto”. La discussione è partita dalla nuova centralità della figura del farmacista ospedaliero, sottolineata da Giovanna Scroccaro presidente SIFO,
come interlocutore attivo per impostare gli strumenti tecnologici sulle esigenze del singolo reparto, e intermediario nell’identificazione di un linguaggio comune, valido e condiviso da medici, infermieri e farmacisti.
È vero, infatti, che i vari sistemi informatizzati (già testati in alcune realtà italiane) rappresentano dei costi aggiuntivi per le aziende ospedaliere, in termini di acquisto iniziale nonché di risorse per l’educazione del personale, specie quello infermieristico ad elevato turn over. È altrattanto vero, però, ha ricordato Scroccaro “che gli ospedali italiani scontano un’arretratezza non più accettabile nella metodologia di gestione del farmaco, lascito degli scarsissimi investimenti dedicati a questo settore, rispetto per esempio all’implementazione della diagnostica”. Dalla robotica in corsia ai post it con indicate le terapie, insomma, i passi da fare sono molti e varrebbe la pena almeno di iniziare.
Molto cauto su questo cammino Andrea Cambieri, Direttore sanitario del Policlinico Gemelli di Roma, direttamente chiamato in causa dalle esperienze presentate al convegno che, per quanto virtuose, sono ancora isolate e rese possibili solo dalle scelte di direttori sanitari, più o meno lungimiranti a seconda delle opinioni. Cambieri ha sottolineato la “difficoltà di adottare un unico sistema su base nazionale, che non sarebbe compatibile con le differenze edilizie e logistiche delle molte strutture italiane. Ciascun ospedale dispone poi di risorse economiche diverse e, per investimenti davvero mirati, sarebbe necessario conoscere meglio i risparmi anche indiretti (per esempio sulle polizze assicurative) che derivano dall’introduzione dei sistemi intelligenti di risk management. Servono numeri certi, per dialogare con direttori sanitari volatili - restano in carica troppo poco - che non hanno interesse ad investire sugli errori del futuro, dovendo fronteggiare le tante emergenze del presente (vedi liste d’attesa). E poi le tecnologie invecchiano velocemente e se si scoprisse che la loro introduzione, invece che ridurre gli errori, semplicemente li cambia, generandone di nuovi?”
D’accordo sui numeri Walter Locatelli, Direttore Generale dell’ASL Lecco, che vede nel risk management farmacologico potenzialità molto più ampie. “Oltre agli errori evitabili da subito, come quelli di trascrizione e le interazioni tra farmaci - ha detto Locatelli -  l’introduzione di sistemi informatizzati potrebbe evitare gli sprechi della medicina difensiva, sia in ospedale sia sul territorio. Le tecnologie impiegate devono rappresentare unicamente lo strumento per giungere ad uno sfruttamento migliore e capillare della farmacovigilanza. Dalla segnalazione degli errori che si verificano sul territorio, infatti, si devono trarre le informazioni necessarie ad un vero governo clinico, sia dal punto di vista prescrittivo sia in termini di rapporto medico-paziente, nel quale si scontano ancora troppe incomprensioni”.
L’ipotesi segnalazioni spontanee convince anche Susanna Ciampalini, del Ministero della Salute, “bisogna puntare sull’appropriatezza per gestire la domanda crescente di assistenza. Migliorare il governo clinico, privilegiando la qualità, per sopperire alla scarsità di risorse: questi gli obiettivi del Piano Nazionale della Qualità che potrebbe sfruttare anche la segnalazione di specifici eventi sentinella”.
In definitiva non è pensabile, adesso, avere un farmacista in ogni reparto “ma nemmeno che l’ospedaliero resti confinato nei locali della farmacia – ha concluso Scroccaro – Sulla base delle sperienze presentate, occorre considerare una presenza graduale del farmacista ospedaliero in reparto e in momenti critici, come quelli della dimissisone dei pazienti”.
“Un intervento ben accolto da chi con i pazienti lavora ogni giorno, gli infermieri – come ha confermato Stefano Venturini, rappresentante della categoria - che in ospedale, ma anche sul territorio, auspicano una maggiore collaborazione tra le varie figure, fatta di educazione, scambi e verifiche continue, in un contesto di comunicazione finalizzata a un’organizzazione
attenta e sensibile dei percorsi di cura”.

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