Nel mese di giugno del 2004, il procuratore generale dello stato di New York, Eliot Spitzer, fece causa alla Glaxo, accusandola di aver commesso in maniera ripetuta e continuata una frode in merito al Paxil, ovvero la paroxetina, un SSRI dalle molte indicazioni, dalla depressione alla fobia sociale. Spitzer aveva la prova che Glaxo, il gigante della farmaceutica, aveva nascosto i risultati di studi su bambini e adolescenti che mostravano che il farmaco era inefficace e aumentava il rischio di comportamento e ideazioni suicidarie. Ora a distanza di due anni la vertenza, a quanto racconta il New York Times, è prossima alla conclusione. Sarebbe, infatti, stato trovato l’accordo tra l’azienda e i pazienti che sarebbero stati danneggiati dal farmaco.
Si tratta di uno dei farmaci di punta dell’azienda che, almeno all’epoca dell’inizio della diatriba valeva qualcosa come 4 miliardi di dollari. L’accusa del procuratore non era di poco conto: insabbiare deliberatamente studi scientifici e gestire in modo oculato la diffusione dei dati per ridurre al minimo le potenziali conseguenze negative sul piano commerciale. Il tutto con una aggressiva campagna pubblicitaria nella quale, secondo le accuse, veniva detto chiaro e tondo che chiunque soffriva di ansia, paura o timidezza in situazioni sociali e lavorative era un candidato a beneficiare del farmaco. Il ministero della Salute italiano all’epoca aveva informato gli specialisti italiani, a scanso di equivoci, che i risultati di trial clinici condotti su bambini e adolescenti non solo avevano dimostrato l’inefficacia, ma avevano addirittura evidenziato un maggior rischio di comportamenti autolesionistici.
La Glaxo, negli Stati Uniti, respinse al mittente le accuse, ma aveva a che fare con un osso particolarmente duro. Il procuratore Spitzer, infatti, è lo stesso che ha costretto le banche di Wall Street a rendere conto dei loro misfatti, spingendole a modificare alcune prassi poco corrette. In una prima rapida conciliazione l’azienda accettò così di pagare 2 milioni e mezzo di dollari di multa e di rivelare tutti i dati sperimentali clinici. In questo modo ha evitato di dover rispondere ad accuse penali. La vertenza chiusa ora riguarda la class action promossa contro la big pharma da chi aveva acquistato il farmaco per i propri figli. L’accordo è di pagare 63,8 milioni di dollari a tutti coloro che possano provare di aver acquistato Paxil o Paxil CR . A conferma dell’accordo è prevista per il marzo del prossimo anno un’audizione per verificare il consenso di tutte le parti in causa. Non tutte le richieste dell’accusa, infatti, sono state approvate come, per esempio, quella relativa al costo eccessivo del farmaco. Ma l’obiettivo di Glaxo è evitare ulteriori cause e ulteriori spese. Ancora non si sa esattamente quanti siano i pazienti lesi e, qualora i fondi stanziati fossero insufficienti a risarcire tutti, si procederebbe a un versamento parziale. Mary Anne Rhyne, portavoce statunitense di Glaxo, ha dichiarato a commento della vicenda: “ Crediamo di esserci comportati nel modo appropriato, neghiamo responsabilità ma intendiamo risolvere la vertenza per evitare che si protraggano le questioni legali e i costi ad esse associati”. Saggia decisione.
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