Quando venne approvato dalla Food and Drug Administration, si parlava di bevacizumab (Avastin) come del primo farmaco “affama-cancro”. Si trattava, infatti, del primo medicinale in grado di distruggere la rete di vasi sanguigni che il tumore sviluppa per alimentarsi e per crescere. A distanza di due anni e dopo qualche risultato deludente, il farmaco prodotto dalla Genentech  potrebbe trovare il suo rilancio. Potrebbe infatti garantire risultati contro la degenerazione maculare neovascolare, una complicazione che colpisce il 10% di chi soffre di degenerazione maculare senile, la prima causa di cecità legata all’invecchiamento. Una malattia nella quale è provata l'efficaci di una molecola affine, il ranizumab, prodotto dalla stessa azienda e oggetto di due studi molto positivi comparsi su Lancet. Qualora questo sorpasso del vecchio farmaco sul nuovo ci fosse, sarebbe un significativo vantaggio economico, anche se non per il produttore.


Risultati non entusiasmanti
L’ultimo trimestre, va detto, ha fatto segnare un’importante crescita per Genentech, con qualche perplessità legata proprio ad Avastin che ha mancato l’obiettivo previsto dagli analisti di 16 milioni di dollari: 423 contro i 439 previsti. La novità è che i National Institutes of Health si sono detti disposti a sponsorizzare un trial che compari i due farmaci. Nel caso venisse confermata la sua efficacia, è probabile che la maggior parte degli oculisti si converta ad Avastin, danneggiando i profitti dell’azienda ma alleviando i programmi Medicare di centinaia di milioni di dollari l’anno. I numeri del resto sono inequivocabili. Se Lucentis, questo il nome commerciale di ranibizumab, costa circa duemila dollari a dose, 1950 per la precisione, bevacizumab costa meno di 150. Con l’intervento di Medicare e di altre coperture assicurative, i pazienti che utilizzano il bevacizumab risparmiano moltissimo, arrivando a pagare meno di 50 dollari a dose.  La modalità d’azione delle due sostanze è analoga, entrambe inibiscono una proteina conosciuta come fattore di crescita endoteliale (Vegf), che ha il compito di promuovere la crescita dei vasi sanguigni. Ma per quest’ultimo manca al momento l’approvazione per l’uso oftalmico da parte dell’Fda e per ora  solo esperienze aneddotiche depongono per una uguale efficacia del farmaco oncologico. Urge perciò un protocollo sperimentale ufficiale. Hal Barron, responsabile medico di Genentech, sostiene che la compagnia non sia interessata a spendere soldi per un simile trial visto che è improbabile sia meglio del suo contendente approvato specificamente per l’occhio. E ha aggiunto che per il suo gruppo è meglio spendere soldi per sviluppare nuovi trattamenti. D’altro canto, i National Institutes of Health sostengono che finanzieranno lo studio per un costo di 16 milioni di dollari con il coinvolgimento di almeno 1200 pazienti, divisi in quattro gruppi. I pazienti saranno seguiti per due anni, mentre lo studio richiederà quattro anni. E il risparmio non è l’unico obiettivo dell’indagine. Molti clinici, infatti, stanno utilizzando il farmaco senza che ne sia mai stata garantita sicurezza ed efficacia. Un esperimento incontrollato cui mettere fine una volta per tutte.

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