C’è un ostacolo di fondo allo sfruttamento di tutte le potenzialità del brand e del branding in campo farmaceutico. C’è chi dice sì, e si riferisce alle regolamentazioni sul messaggio pubblicitario, ma c’è anche chi dice sì ma pensa più che a i vincoli in sé e per sé , alla percezione che ne ha l’industria. Percezione che li vede più restrittivi di quanto non siano. Ma a questa concezione non è estraneo un modo di pensare la promozione che è caratteristico dell’industria farmaceutica. E’ pensiero ancora largamente diffuso che ciascun farmaco sia per se stesso un prodotto fortemente individualizzato, visto che è frutto di un processo di ricerca che di per sè sbocca in prodotto diverso, unico. La competizione per affermare il proprio farmaco sarebbe dunque tutta centrata sui concetti di efficacia e sicurezza. Senz’altro vero, ma sempre meno vero.

Secondo Tom Fraser, direttore dell’agenzia specializzata britannica Origin Branding, ritiene che in realtà oggi si prospetti la necessità di differenziarsi oltre questi aspetti in un mercato decisamente affollato. “Ci sono decine di migliaia di marchi registrati in tutto il mondo e lo sforzo principale è sviluppare elementi caratterizzanti che non confliggano con quanto già esiste” ha dichiaro Fraser a PMLive, “E ora i clienti cominciano a cercare appigli emotivi per i loro marchi. Noi del resto siamo convinti che sia il brand a creare la differenziazione, ben più che il prodotto“. Ancora più esplicito, se possibile, Ken Ribotsky, presidente Core-Create Stati Uniti, secondo il quale il brand è spesso più importante in campo medico-farmaceutico perché, di solito, è il fattore critico per far sì che il provider scelga questo o quel prodotto: “I professionisti della sanità” spiega “si trovano di fronte molti ostacoli al momento di scegliere il farmaco per il paziente. Confrontare i prodotti solo in termini di efficacia e tollerabilità sta diventando a sempre più difficile, visto che i dati clinici tendono a essere sempre più sfumati. Il brand può andare oltre questi dati e creare non solo affinità e fiducia, ma anche fedeltà al marchio”.

I due esperti hanno messo a fuoco il punto dolente: l’emotività. Rifarsi a considerazioni emotive può essere vissuto come poco etico o, cinicamente, come facilmente censurabile dalle autorità regolatorie. In realtà, quello cui molte firme della consulenza tendono non è la giustapposizione di contenuti emotivi al singolo farmaco, ma la creazione di un background emotivo, basato a questo punto sul corporate brand, che faciliti al medico anche la percezione e la valorizzazione del dato cllinico. D’altra parte, che il si attui una sorta di rinforzo emotivo nella percezione di qualsiasi messaggio è un dato della psicologia,non un’invenzione del marketing. E in questo senso, è vero che è il medico, più che l’azienda stessa, a costruire il brand. Siccome il rinforzo emotivo può essere positivo quanto negativo, è bene che l’azienda cerchi di indirizzare gli aspetti emotivi, comunque presenti, in modo favorevole, piuttosto che lasciare le cose al caso.

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