L’ECM all’italiana ha già qualche anno alle spalle, ma non certo l’esperienza di quella statunitense. In particolare, vien da dire, per quanto riguarda le questioni relative al finanziamento degli eventi da parte dell’industria.

Finanziamento che molti fatti recenti, negli Stati Uniti, hanno riportato al centro dell’attenzione. A muovere l’ultima tornata di discussione, due elementi. Il primo, puntuale una lettera che il senatore Grassley, della Commissione finanze, ha inviato agli amministratori delegati delle azienda farmaceutiche basate negli satti Uniti, in cui, in pratica, si chiede conto  di un po’ tutte le attività di finanziamento in supporto al marketing, ivi compre non soltanto il finanziamento dell’ECM ma anche il supporto economico fornito a società scientifiche e associazioni di pazienti. Il secondo è il rallentamento degli investimenti delle aziende in comunicazione, ivi compreso il finanziamento delle attività formative. E’ chiara l’attenzione delle agenzie pubbliche nei confronti di eventuali condizionamenti sui contenuti della formazione, ed è altrettanto chiaro, sono il senatore Grassley, che se in un’azienda è il marketing, o anche il marketing, a decidere dell’erogazione dei fondi, il sospetto non può non esserci. D’altra parte, si obietta da parte dei produttori, alcuni dei comportamenti di cui si chiede conto sono già apertamente proibiti dal codice emanato dall’ispettore generale del Ministero della sanità; mentre altri comportamenti censiti sono per ora legali. E quel “per ora” è un elemento di insicurezza che scoraggia dall’investire.

Ma non è soltanto questione di volume dei finanziamenti. L’altro aspetto che è andato modificandosi riguarda la scelta dei provider. Come in Italia, le attività ECM, negli Stati Uniti sono organizzate o da società commerciali, molto spesso dipartimenti ad-hoc di agenzie di comunicazione-pubblicità, o da enti di ricerca, in specie universitari. In tempi di fucili puntati, le facoltà mediche hanno visto crescere il loro volume d’affari, a discapito delle agenzie commerciali. Nel 2001, i fondi dell’industria farmaceutica rappresentavano il 47% circa dell’income della attività ECM delle facoltà mediche, nel 2004, il 63,8%; discorso inverso per le agenzie commerciali dall’86,6% del 2003 al 74,7 del 2004.
La spiegazione del fenomeno è semplice: ci si sente più coperti se a firmare un corso è la Mayo Clinic, piuttosto che una business unit di Young & Rubicam, senza contare che questo approccio consente di stringere più facilmente rapporti con gli opinion leader; se però questo risponde al vero è un altro paio di maniche. I rapporti ufficiali segnalano che alcune violazioni del codice di comportamento sono più frequenti con le organizzazioni accademiche in fatto di disclosure delle fonti di finanziamento. Tolto questo aspetto, le due tipologie di organizzatore non differiscono significativamente nel rispetto delle regole.

Un’altra reazione ai maggiori controlli, per molti versi interessante, è il moltiplicarsi di eventi ECM che hanno più sponsor, un modo efficace per dividere le spese e allontanare il sospetto del conflitto di interessi. E’ una via percorribile, secondo alcuni analisti d’Oltreoceano. Non sembra invece percorribile un’altra strada che arera stata diìindicat anche da un recente articolo di Jama: creare un fondo per il finanziamento dell’ECM, alimentato dalle aziende ma le cui erogazioni fossero stabilite da un comitato super partes. Difficile cedere il controllo dell’investimento...

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