Al recente meeting dell’American Society for Hypertension (ASH) svoltosi a New York, a farla da protagonisti sono stati due nuovi antipertensivi presentati da Novartis. Il convegno è stato, infatti, l’occasione per presentare nuovi dati su Rasilez e su Exforge, la pillola due in uno basata sull’associazione valsartan e amlodipina. Due medicinali con un futuro da blockbuster garantito, anche perché trattano una patologia come l’ipertensione che colpisce oltre 65 milioni di persone (un adulto su tre), di cui il 70% fuori controllo. Si tratta di un mercato del valore di 17 miliardi di dollari e si pensa che Exforge potrà fruttare da solo circa 500 milioni di dollari l’anno. Ma oltre agli ipertesi accertati ne esiste un numero molto elevato, valutato in 59 milioni di persone, che si possono definire borderline, per i quali secondo le definizioni aggiornate di ipertensione, fornite dall’ASH, i farmaci antipertensivi potrebbero diventare un trattamento standard. Il risultato sarebbe un’ulteriore espansione del mercato. Tutto regolare? A margine del meeting dell’ASH sono state sollevate polemiche proprio su questo argomento e in particolare circa gli intrecci potenziali tra industrie farmaceutiche e società scientifiche. Se ne è occupato il New York Times.

L’accusa
Del resto qualche dubbio è lecito – è stato osservato - venga se tre grosse compagnie farmaceutiche hanno donato 700000 dollari a una società medica, la quale ha utilizzato quei soldi per una serie di conferenze di aggiornamento sull’ipertensione rivolte ai medici. Le compagnie in questione sono Merck, Novartis e Sankyo e la società è per l’appunto l’ASH. Visto che molti dei punti centrali degli aggiornamenti riguardano proprio il potenziale allargamento del mercato è normale che ci si chieda quanto interferiscano i finanziamenti. L’accusa è, perciò, di monetarizzazione della medicina e di influenza eccessiva dell’industria farmaceutica. E’ per questa ragione che lo stesso presidente della società scientifica, Thomas Gilles, ha proposto una sorta di operazione trasparenza, finalizzata a specificare che direzione prendano i fondi provenienti dall’industria. Ma ha anche sottolineato come non ci siano condizionamenti, bensì un solido muro di separazione tra attività scientifiche ed economiche.
La stessa Ash peraltro è divisa al suo interno. E infatti uno dei membri della commissione che ha stilato le nuove linee guida terapeutiche, oggetto della discordia, sostiene che non si basino su rigorosi presupposti scientifici bensì su opinioni sparse.

Pre-ipertensione cioè?
Il nodo cruciale della questione è la definizione di pre-ipertensione, una condizione che attualmente non è trattata con farmaci. Secondo le nuove proposte si pensa di “promuovere” la categoria a quella di stadio 1 dell’ipertensione. In questo modo almeno la metà dei pazienti attualmente identificati come pre-ipertesi e non trattati passerebbero nella categoria ipertesa, una classificazione basata più che altro sui fattori di rischio potenziali. A questa nuova catalogazione, peraltro, non corrisponde per il momento una terapia specifica e per ora si solleva solo un dubbio riguardo al futuro. E a questo proposito lo stesso Gilles ha sottolineato come simili modifiche nella considerazione dell’ipertensione andranno a incidere più probabilmente sugli stili di vita che non sulla terapia farmacologica. Il problema perciò non è l’industria farmaceutica ma i molti pazienti preipertesi che vanno incontro a un ictus. La questione rimane, comunque, aperta e infatti uno degli argomenti centrali al meeting appena conclusosi riguarda proprio quale sia la soglia di ipertensione alla quale intervenire medicalmente. Gli stessi portavoce dell’azienda sostengono che pur avendo sovvenzionato ASH non intendono in alcun modo influenzare i contenuti scientifici proposti dalla società. Ma non è certo una novità che medici prestigiosi abbiano qualche legame con l’industria farmaceutica. L’importante è che questo non condizioni l’attività scientifica.

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