Può un prodotto che ha avuto una carriera mediocre come etico, trovare la via del successo come OTC? Per la GSK la risposta è positiva. Infatti, suscitando anche l’interesse del New York Times, ha pagato alla Roche 100 milioni di dollari, più royalties non comunicate alla stampa sulle vendite future, per commercializzare la versione da banco dell’orlistat (tetraidrolipostatina) commercializzato con il nome di Xenical. Il farmaco agisce come sequestrante dei lipidi dietetici, ed è stato a suo tempo presentato come una soluzione farmacologica ma “dolce” al trattamento dell’obesità: nessuna azione centrale, profilo di sicurezza ottimale, ben lontano dai coktail di anfetaminosimili e serotoninergici impiegati negli Stati Uniti prima dello “scandalo” del fen-phen. Le vendite negli Stati Uniti, però, non sono state entusiasmanti, per almeno due motivi che vanno embricarsi: l’effetto di riduzione dell’introito calorico, e quindi il dimagrimento, è legato alla quantità di grassi presenti nella dieta ma, se questi sono presenti in grandi quantità, possono uscire accentuati gli effetti collaterali del farmaco: flatulenza e diarrea (steatorrea). Insomma disturbi non gravi ma che dal punto di vista delle relazioni sociali possono essere anche fastidiosi.
Un farmaco che richiede educazione
Glaxo, quindi, si trova davanti alla necessità di rendere appetibile un prodotto problematico, in quanto richiede una buona dose di educazione del paziente-utente. Infatti per raggiungere un dimagrimento accettabile si deve seguire una dieta “normale”, senza esagerare in grassi ma senza nemmeno escluderli. Si prospetta dunque un notevole sforzo di comunicazione, al quale però sembra che l’azienda stia dedicando tutta l’attenzione necessaria. In questo caso, legare il proprio messaggio a una campagna educativa è una scelta obbligata, la condizione per fidelizzare il pubblico attraverso la bontà dei risultati. In previsione della commercializzazione, GSK ha già dato un’idea di quale sarà la strategia della comunicazione al pubblico. Infatti è partito un sito Internet (QuestionEverything.com), dedicato ai dieter, dove chi usa il farmaco e chi è interessato a usarlo potranno scambiarsi opinioni e partecipare a sondaggi e altre iniziative on-line. Non è una mossa da sottovalutare, visto il successo ottenuto, anche in Italia, dal programma di supporto web-based che Glaxo ha affiancato ai cerotti Niquitin CQ, cioè la terapia sostitutiva della nicotina. Non è da escludere che anche per l’orlistat si possa assistere alla messa a punto di un programma analogo, visto il peso che la componente psicologica riveste anche nel caso dell’obesità e il successo ottenuto dagli interventi sulla motivazione, anche via Internet, per garantire l’adesione del paziente al trattamento.
Un’alternativa praticabile
Ma un aspetto strategico sarà anche il prezzo. Uno dei motivi del successo limitato dell’orlistat è il fatto che la quasi totalità dei piani assicurativi non prevede il rimborso dei farmaci per il trattamento dell’obesità. Ora, secondo le indiscrezioni la versione OTC dovrebbe presentare un costo terapia di 2-3 dollari al giorno, decisamente contenuto, anche calcolando che si risparmiano i costi aggiuntivi per la ripetizione della prescrizione. Certo, tutto resta legato al fatto che l’FDA acconsenta allo switch, cosa che in tempi recenti non è riuscita a Merck e J&J; in quel caso si trattava di un ipolipemizzante (Sinvacor), farmaco che l’FDA ha ritenuto, alla fine, intrinsecamente non abbastanza maneggevole per rimetterlo alla vendita senza prescrizione. D’altra parte l’elevata prevalenza dell’obesità negli Stati Uniti pone una certa pressione sul sistema sanitario; in questo senso un fai da te a basso costo, e guidato intelligentemente, potrebbe apparire una soluzione adeguata. Quello che per ora si sa è che l’FDA ha chiesto ulteriori elementi per decidere.
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