Servono gli sconti forzosi sul farmaco? No, ""sono inutili e non centrano l'obiettivo di razionalizzare i consumi"" rispondono i ricercatori del CERM, centro di ricerche indipendente impegnato sui temi della competitività, regolazione e mercati. Secondo il centro, diretto dall'economista dell'Università di Firenze Fabio Pammolli, è il  co-payment percentuale, ovvero un ticket proporzionale al prezzo di ciascun farmaco di fascia A, il solo strumento efficace.

Una compartecipazione richiesta al cittadino e, ovviamente, coordinata fra Stato e Regioni. Al tema della regolazione del mercato farmaceutico è dedicato un editoriale a firma di Pammolli e di Nicola Salerno, pubblicato sul sito del centro. La tesi si basa sull'andamento dei consumi e della spesa nell'ultimo periodo. Tra il 2000 e il 2005 le dosi giornaliere dei farmaci rimborsati (ddd giornaliere per 1000 abitanti) sono aumentate di circa il 39% e un incremento dello stesso ordine (36%) hanno avuto le prescrizioni. I dati Osmed dei primi nove mesi del 2006, che registrano un + 7,2% rispetto allo stesso periodo del 2005, ""dimostrano che la tendenza è persistente. ""A questi ritmi - commenta Salerno - il consumo dei farmaci rimborsati raddoppierà in un quindicennio e aumenterà più di sei volte al 2050, secondo proiezioni Ecofin"".
Il taglio dei prezzi, prosegue l'analisi, è inutile in sé anche per un motivo di natura contabile. Infatti se c'è un sovraconsumo di farmaci in un determinato anno si è di fronte a un dato di fatto storico che non può essere cancellato tout court, e che non viene in realtà eliminato ma finanziato con maggiori risorse prese nell'anno successivo attraverso il taglio dei prezzi. ""Di conseguenza nell'anno successivo la spesa relativa a quell'anno viene contabilizzata come se i prezzi non fossero stati tagliati, perchè va a finanziare la spesa dell'anno prima. Dunque - sostiene Salerno - è un cane che si morde la coda, perchè non si va ad agire, come si dovrebbe, sui consumi, ma si reperiscono solamente maggiori risorse per ripianare l'anno precedente"".

La variabile economica da correggere è  invece quella dei consumi, correzione ardua e mai ottenuta nel decennio. Per questo il comparto farmaceutico continua a scontare problemi di sostenibilità della finanza pubblica. Il taglio dei prezzi però non solo non risolve il problema ma ha come conseguenza - secondo Salerno - quella di ""addormentare il mercato"". In Italia, è la spiegazione, a differenza di altri paesi, c'è un mercato indifferenziato di prodotti sottoposto a una compressione generalizzata dei prezzi verso il basso, senza distinzione tra farmaci coperti da brevetto e veramente innovativi, medicinali non più sotto protezione brevettuale e generici"". Al contrario, in altri Paesi, c'è una netta divisione fra prodotti senza brevetto sottoposti a una fortissima concorrenza, venduti a prezzi e con margini minimi per tutta la filiera, e prodotti sotto brevetto che possono permettersi prezzi abbastanza elevati, grazie al risparmio fatto sugli altri, che premiano l'innovatività e la ricerca"".

Non accade altrettanto in Italia, secondo il ricercatore. La politica italiana dei prezzi, a suo giudizio, ""rallenta ricerca e sviluppo e ritarda il lancio di prodotti davvero innovativi rispetto agli altri Paesi, con ripercussioni di minore crescita a livello industriale. Non solo. Il taglio dei listini riduce molto la differenza fra il prezzo dei farmaci di 'marca' e quello del generico che è l'elemento che attira un eventuale genericista. In altre parole 'addormenta' il mercato"". Da qui la 'ricetta' del Cerm: un ticket per i prodotti di fascia A proporzionale al prezzo, ovviamente nel rispetto delle esenzioni per le fasce deboli. E non un ticket sulla ricetta o uno fisso per tutti i farmaci, qualsiasi costo abbiano. Questo tipo di compartecipazione non 'flessibile', infatti, non 'sposta' di molto la scelta del cittadino in farmacia che, dovendo sborsare un ticket fisso si orienterebbe sul farmaco più caro, al quale magari è 'affezionato' per motivi di brand. Al contrario, il 'co-payment percentuale' responsabilizza il consumo: il cittadino, a parità di efficacia, preferisce quello con il ticket più basso, e dunque il farmaco meno costoso. Secondo i ricercatori ""rappresenterebbe anche una sterzata alla distribuzione, che oggi prevede per i farmacisti margini di guadagno sui medicinali di fascia A proporzionali al prezzo. Da qui la convenienza a vendere farmaci e confezioni più costose. Con il ticket percentuale il cittadino sarebbe incentivato a chiedere sempre la confezione più adatta alla sua terapia e meno costosa, laddove invece, se non deve pagare nulla, si adegua alla scelta del farmacista o decide indifferentemente per uno o l'altro farmaco qualunque sia il suo prezzo"".  Resta da verificare se un simile meccanismo, applicato in modo rigido, non finisca per far costare di più al cittadino una patologia rispetto all'altra, vista anche la naturale tendenza del mercato ai cartelli, anche a parità di impatto socioeconomico, nell'attesa dell'arrivo del generico. Peccato anche che, quando si parla di esenzioni, l'esperienza passata pesi come un macigno, e con i dati sui redditi ai fini Irpef attuali, dove si segnalano i titolari di pizzerie con redditi da apprendista, c'è poco da farsi illusioni anche sull'equità delle esenzioni per ""censo"".

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