Livia Turco

Il ministro della Salute, Livia Turco, parla del futuro prossimo della sanità italiana, quello che comincerà a settembre. In esclusiva per le nostre testate, un'intervista che affronta i temi economici, ma anche la filosofia del rapporto tra Ssn, cittadino, medici e farmacisti


Il servizio sanitario nazionale fa spendere troppo o fa aspettare troppo? In altre parole, costa troppo per quello che da o quella italiana è una
spesa troppo elevata rispetto agli indicatori internazionali?
Prima di tutto è bene precisare che in Italia non si spende troppo per la sanità. La nostra spesa è infatti in linea con quella media europea e semmai appare ancora carente per far fronte a nuove emergenze, come quella della cronicità, che necessitano di maggiori risorse finanziarie e di maggiore integrazione con i servizi sociali. Nello stesso tempo la stessa Oms ci ha riconosciuto il pregio di offrire un buon livello di assistenza sanitaria pur in presenza di finanziamenti non certo altissimi.
Eppure nonostante ciò, e la sua domanda lo conferma, esiste un pregiudizio diffuso sul fatto che la sanità pubblica sia fonte di sprechi e di spese eccessive. Non è vero e uno dei miei compiti sarà proprio quello di dimostrarlo anche attraverso un'attenta analisi dell'effettiva appropriatezza del sistema rispetto a precisi indicatori di risultato e di costo-efficacia. Evidentemente a qualcuno, per molto tempo, ha fatto comodo presentare un volto spendaccione e sprecone della sanità italiana che non risponde assolutamente al vero, almeno nella stragrande maggioranza delle realtà territoriali.


Problemi di efficienza: è esperienza comune che è assai più facile ottenere una prestazione a pagamento, anche in presidi pubblici, rispetto a quelle erogate a carico del Ssn. Mantenendo i due canali aperti non si rischia di vedere sempre in sofferenza quello pubblico? Qual è il bilancio dell'attività libero-professionale intramoenia?
Con la norma inserita nel decreto legge sulla competitività all'esame del Parlamento in queste settimane, abbiamo dato un segnale deciso di svolta alla questione dell'intramoenia. Non si discute il diritto alla libera professione del medico, ma si deve finalmente far chiarezza sul fatto che l'attività ordinaria nell'ambito delle strutture pubbliche è la mission primaria dei medici e delle aziende sanitarie del Ssn. Se ben governata e regolamentata e, soprattutto, se adeguatamente vigilata, la libera professione può rappresentare un'opportunità per la sanità pubblica e per il cittadino. Altrimenti diventa un'altra cosa e il rischio dei due canali aperti si evidenzia. Questo non lo tollereremo.


Sempre sull'efficienza del sistema, quanto pesa una spinta al consumismo e anche una generale intolleranza dell'utente? Diceva un economista che il cittadino è pronto a fare chilometri per pagare meno i biscotti al discount ma difficilmente accetta di spostarsi per un'indagine diagnostica....
Non penso sia questione di chilometri. Il cittadino ne fa già troppi oggi per ottenere una prestazione al di fuori dell'ospedale. La mia grande sfida di legislatura è proprio quella di porre il cittadino nelle condizioni di essere protagonista del sistema sanitario attraverso una profonda riorganizzazione della medicina delle cure primarie. Per farlo ho pensato alla necessità di dare una "casa", anche fisica e tangibile, a questo settore e l'ho chiamata la "Casa della salute" ad intendere il luogo dove concentrare esperienze, competenze, servizi e coordinamento di tutte quelle forze professionali, tecniche e logistiche oggi disperse sul territorio e difficilmente "visibili" e raggiungibili dal cittadino. Oggi è il cittadino, al di fuori dell'ospedale, che deve "cercare" la prestazione appropriata, non è il servizio sanitario ad andare incontro alle sue esigenze. Con la Casa della Salute intendo invece dare un'identità precisa a tutta la medicina territoriale in collegamento e in rete con l'ospedale ma con una sua specificità organizzativa, gestionale e di programmazione dei servizi sulla base delle diverse esigenze delle comunità. Detto questo penso siano comunque necessari interventi di responsabilizzazione del cittadino che deve essere consapevole di "quanto" gli si dà in termini di prestazioni, servizi e assistenza grazie all'esistenza di un servizio sanitario nazionale equo e solidale.

La spesa farmaceutica è un'emergenza? Il superiore aumento della spesa privata, soprattutto per i farmaci in fascia C, non indica piuttosto che le misure di contenimento dell'esborso pubblico hanno raggiunto un tetto?
Non penso che i due fattori, quello dei costi dei farmaci in fascia C e quello del contenimento della spesa farmaceutica pubblica, possano essere messi direttamente in relazione. Ma in ogni caso non mi sottraggo alla domanda se sul farmaceutico si siano già fatti troppi provvedimenti di contenimento della spesa. Penso tuttavia che il problema non sia questo, quanto il fatto che in questi ultimi cinque anni è mancata una vera politica per il farmaco, inteso nel suo valore di bene per la salute ma anche di prodotto potenzialmente strategico per il rilancio dell'economia del Paese. All'ultima Assemblea della Farmindustria ho proposto una nuova politica ove i due elementi si possano fondere in modo virtuoso. Vedremo cosa emergerà in autunno dal tavolo con tutte le componenti del settore.


Lei ha trattato la questione ticket in un modo diverso rispetto al passato, cioè ha posto la questione non come moderazione della domanda ma, appunto, come partecipazione alla spesa. Oltre al contributo per la "spesa alberghiera" relativa ai ricoveri si parla anche dell'assistenza farmaceutica. Ticket sul farmaco o sulla prescrizione?
Vedremo. Al momento esiste unicamente una precisazione al riguardo nel Dpef, dove si sottolinea come "il fine di migliorare l'appropriatezza delle prestazioni e garantire sia la loro universalità sia l'esigenza che esse siano fruite dalle persone in effettiva necessità suggerisce di non escludere forme di compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini". In questo ambito valuteremo ipotesi e meccanismi di compartecipazione alla spesa sanitaria senza pregiudiziali ma anche senza caricare di chissà quali aspettative finanziarie questi eventuali contributi dei cittadini. Essi devono avere un significato e una finalità di responsabilizzazione del medico e del cittadino. Il finanziamento del sistema deve infatti restare incentrato sulla fiscalità generale e quindi sulla solidarietà contributiva universalistica e proporzionale alle singole capacità di reddito.


Il fondo per la non autosufficienza probabilmente ridurrebbe la spesa sanitaria impropria (ricoveri di sollievo e altro ancora). Più di un progetto di legge è stato presentato e dimenticato, o quasi. Qual è l'ostacolo maggiore ad affrontare la questione?
Come ho già annunciato è mia intenzione promuovere un'apposita tassa di scopo, sempre basata sul principio della solidarietà contributiva, per finanziare il fondo per la non autosufficienza avviando contestualmente la definizione di nuove modalità di intervento in grado di dare realmente corpo a quell'integrazione socio-sanitaria che, nel caso delle non autosufficienze, è indispensabile per offrire un servizio adeguato ai bisogni di queste persone e delle loro famiglie.

Quale contributo si aspetta dalle professioni sanitarie? Quale dai cittadini?
Mi aspetto molto, moltissimo. Sono convinta che sia gli uni che gli altri abbiano ben chiaro che un buon servizio sanitario dipende quasi esclusivamente dal fatto di avere al suo interno professionisti soddisfatti, partecipi, responsabili e motivati ma anche un cittadino consapevole e informato sull'importanza di mantenere un buono stato di salute seguendo stili di vita salubri e programmi di prevenzione appropriati. Credo in questa armonia di ruoli tra operatore e cittadino. Un'armonia che è alla base di quel nuovo patto sulla salute tra tutti gli attori del sistema, compresi i cittadini, che intendo promuovere per tutta la durata del mio mandato.

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