L’efficiente reclutamento dei pazienti è uno dei principali fattori per il successo di uno studio clinico. Per quanto siano stati presi in considerazione diversi approcci tecnici volti ad accelerare il reclutamento per i trial clinici, spesso si trascura l’atteggiamento del pubblico nei confronti di queste ricerche. Eppure, se il pubblico comprendesse più a fondo il valore dei trial, il loro ruolo nello sviluppo di nuovi farmaci e fossero più convinti di essere trattati adeguatamente, probabilmente si avrebbe una maggiore e più pronta partecipazione.

L’indagine di mercato
Secondo una ricerca online statunitense, condotta da Harris Interactive nell’ottobre 2000, alla maggioranza del campione intervistato, 6.000 pazienti oncologici, nessuno aveva mai prospettato la possibilità di partecipare a un trial dedicato al trattamento della loro condizione. Infatti, il 75% del campione ha dichiarato  che vi avrebbe partecipato se gliene  fosse stata data la possibilità e l’85% ha dichiarato di non essere al corrente di questa possibilità. Ovviamente non tutti coloro che si dichiarano disponibili poi partecipano realmente. Dei pazienti oncologici al corrente di questa possibilità, tre su quattro non hanno partecipato adducendo quattro motivazioni principali:

  • Timore che il trattamento ricevuto in seno al trial fosse meno efficace dei trattamenti standard
  • Timore di essere assegnati al placebo
  • Sensazione di essere trattati come una cavia
  • Rifiuto della compagna di assicurazioni di coprire eventuali costi
D’altra parte, la grande maggioranza di coloro che avevano partecipato a un trial clinico ha giudicato positivamente l’esperienza. Il 97% ha riferito di essere stato trattato con rispetto e dignità e ha valutato “ottime” o “buone” le cure e l’assistenza ricevute. Più dell’80% ha detto di non aver avuto l’impressione di essere stato sottoposto a più test di quelli necessari e l’86% ha dichiarato di aver avuto dalla propria polizza salute la copertura dei costi sostenuti.

Le campagne promozionali
Se l’esperienza risulta poi ben accetta, è evidente che occorre costruire presso il pubblico un’immagine migliore della ricerca clinica e creare un clima di maggiore fiducia. La chiave è promuovere campagne a lungo termine, centrate sulle reali preoccupazioni, o preconcetti, dell’opinione pubblica, per quanto possa essere problematico. In questo senso va citata la positiva esperienza del Giappone, paese con caratteristiche non particolarmente favorevoli alla ricerca farmacologica clinica, ma che ha trovato nell’elevata partecipazione dei pazienti ai trial un punto di forza. Del resto, fin dal novembre 2001 l’associazione delle industrie farmaceutiche giapponesi ha avviato una campagna mediatica di alto profilo volta a spiegare esaurientemente sia la natura del trial clinico sia la ricerca farmaceutica nel suo complesso. Il principale advertorial a stampa della campagna raffigurava un coordinatore di ricerca a colloquio con un paziente, mentre il claim sollecitava il lettore a esprimere pareri e porre domande. In risposta, chi accettava l’invito riceveva un opuscolo intitolato “Trial Clinici: rispondiamo alle vostre domande”. Come risultato della campagna sono state distribuite al pubblico oltre 1000 copie dell’opuscolo.

Negli Stati Uniti, invece, sono state le autorità pubbliche a supportare una serie di indagini per identificare i fattori che ostacolano l’accettazione dei trial clinici da parte dei pazienti ma anche dei medici. Il tutto è culminato nel memorandum rilasciato dall’allora Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton nel 2000 che autorizzava Medicare a coprire i costi dell’assistenza routinaria erogata ai pazienti coinvolti negli studi, ma promuoveva anche azioni positive per informare gli anziani (assistiti da medicare) delle opportunità offerte dai trial. Il Department of Health and Human Services ha altresì vagliato la possibilità di istituire un registro nazionale dei trial per i quali Medicare offriva la copertura.

Un aspetto a più riprese segnalato, che pesa negativamente anche su questo aspetto, è la scarsa trasparenza delle scelte di politica industriale del settore farmaceutico, per quanto maggiore rispetto al passato, e la cattiva gestione dei casi di reazioni avverse verificatesi negli ultimi tempi. In questo senso, peraltro, nemmeno le autorità sanitarie sono esenti da censure e così gli stessi operatori. Va da sé che gli sforzi per costruire un’immagine positiva della ricerca deve vedere coinvolti tutti i protagonisti, e che gli sforzi vanno coordinati.

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