Riparte dalle biotecnologie l'alleanza tra aziende e istituzioni per rilanciare la farmaceutica 'made in Italy'. Dal Salone del biotech 'Bionova', Farmindustria e Agenzia italiana del farmaco (Aifa) lanciano un nuovo progetto di collaborazione. Un accordo ritrovato sancito nel corso di una tavola rotonda promossa da Farmindustria e Assobiotec-Federchimica, che ha visto dialogare seduti allo stesso tavolo i vari attori coinvolti.
Punto di partenza: i numeri di un sistema che rappresenta la sfida del futuro per scienziati e pazienti. ''I medicinali e i vaccini frutto della ricerca biotecnologica gia' presenti sul mercato sono circa 200 - ha ricordato Giuseppe Giorgini, presidente del Gruppo biotech di Farmindustria - prodotti da 3.500 imprese e utilizzati in tutto il mondo da 250 milioni di malati''. E ancora. ''Il 40% dei nuovi farmaci registrati nel 2003, quindi due su 5, sono biomolecole. Una percentuale che sale pero' al 50% se si considerano anche le molecole di sintesi individuate con tecniche biotecnologiche''. Un quadro in cui l'Italia ha molto da dire: ''Con 21 farmaci biotech in via di sviluppo ci collochiamo al sesto posto in Europa. E le aziende biotech che nella penisola si occupano di salute 'coprono' il 70% di tutte le imprese biotecnologiche presenti sul nostro territorio, che ormai sono oltre un centinaio''. Le risorse ci sono, ha avvertito Giorgini, ''bisogna solo trovare il modo di farle emergere''. Un obiettivo condiviso dall'Aifa, ha assicurato Guido Rasi, consigliere di amministrazione dell'Agenzia, convinto della necessita' di ''agire in tempi brevi''. ''Non voglio polemiche - ha tenuto a precisare l'esponente di Farmindustria - ma negli ultimi anni abbiamo subito da parte delle istituzioni molte manovre che ci hanno ostacolato. Oggi pero' il Governo ha raggiunto il contenimento della spesa che si era prefissato, quindi possiamo guardare al futuro per costruirlo insieme''. Perche' solo ''una partnership tra industrie, universita' e Aifa - e' il monito di Roberto Gradnik, presidente di Assobiotec - puo' far funzionare un settore che promette farmaci 'su misura' e non piu' 'a taglia unica', cioe' ' terapie personalizzate da usare in modo piu' mirato, quindi piu' economico''.
Il biotech in Italia
''La nostra e' un'industria giovane - ha continuato Giorgini - Le prime imprese biotech in Italia sono nate 25-30 anni fa, ma hanno rivoluzionato l'approccio contro il cancro, le malattie cardiovascolari, le malattie infettive e alcune patologie autoimmuni come l'artrite, la psoriasi e la sclerosi multipla''. Arrivando cosi' a un momento cruciale.
L'Aifa sapra' cogliere questa opportunita', ha confermato Rasi convinto che l'Agenzia abbia ''gia' gli strumenti legislativi e normativi necessari per gestire l'innovazione che arriva dalle biotecnologie. E ora si sta dotando anche degli strumenti tecnici''. Il sistema italiano ha ''potenzialita' meravigliose, ma anche fragilita' enormi - ha proseguito - Queste nuove tencologie richiedono investimenti iniziali grandi, a volte enormi, ma siamo sicuri che i costi di oggi possono diventare i risparmi di domani. I costi vanno visti in prospettiva, pensando al ritorno in termini di salute pubblica'', ha concluso. Dopo la 'mappatura' del Dna umano, ha ripreso Gradnik, ''le biotecnologie offrono la possibilita' di una svolta epocale: affrontare le malattie non piu' solo alleviando i sintomi, ma arrivando alla radice del problema''. In altre parole alla guarigione. ''Un futuro che l'ematologia sta gia' vivendo'', ha testimoniato la professoressa Enrica Morra, a capo della Divisione di Ematologia, trapianti di midollo e oncologia dell'ospedale Niguarda di Milano.
Le aspettative sono immense, ha detto Gradnik. Per esaudirle ''possiamo contare oggi su una ricerca di qualita' e su una buona rete di aziende biotecnologiche''. Ma ''servono business plan molto chiari - ha puntualizzato - piu' fondi e accordi tra pubblico e privato''. Soprattutto, pero', ''e' indispensabile fare una scelta, perche' l'Italia non puo' certo eccellere in tutto. Bisogna capire su quale settore delle biotecnologie conviene puntare. E un buon campo - ha consigliato il numero uno di Assobiotec - potrebbero essere le malattie rare: un terreno su cui le big Pharma non si addentrano, ma che per noi puo' trasformarsi in una grande opportunita'''.
Un documento per far decollare le biotecnologie in Italia
Un documento che Individua i settori strategici, cosi' da stanziare finanziamenti mirati e non a pioggia, e spiegando i temi piu' 'caldi' ai cittadini, cosi' che possano mettere da parte i pregiudizi. Lo ha messo a punto il Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie (Cnbb) della presidenza del Consiglio, con il contributo delle Regioni. ''Il progetto - ha annunciato Leonardo Santi, presidente del Cnbb - e' di diffondere questo documento il piu' possibile, magari anche utilizzando Internet. Vogliamo che sia uno strumento flessibile. E ci attendiamo il contributo di tutti per perfezionarlo e redigerne presto una versione definitiva''. Secondo i dati 2003 di Assobiotec-Federchimica, l'Italia e' all'ottavo posto in Europa per numero di aziende biotecnologiche (83, con 5 mila addetti e un fatturato annuo di 1,3 miliardi di euro).
''La maggior parte delle imprese e' concentrata al Nord - ha ammesso Santi - ma anche al Sud, per esempio in Sicilia, Sardegna, Campania e Basilicata, esistono realta' promettenti che vanno incentivate. Per farlo - ha avvertito pero' il presidente del Cnbb - e' necessario identificare dei poli di riferimento e organizzare delle reti, ciascuna dedicata alle diverse attivita' specifiche che coesistono all'interno delle biotecnologie. Solo cosi' sara' possibile erogare fondi nel modo migliore e informare meglio i cittadini sugli aspetti ancora controversi'', tra cui bioetica e Ogm. ''L'innovazione ha bisogno del consenso da parte della popolazione - ha infatti concluso Santi - e il consenso puo' essere ottenuto dando informazioni non solo di parte, ma che siano anche frutto di un confronto costante tra opinoni diverse''.
Il Rapporto Annuale per le Biotecnologie
Si tratta di un rapporto redatto annualmente dalla Commissione Europea per verificare l'attuazione e fare il punto sull'applicazione delle linee guida del 'Piano di azione sulle Scienze della Vita e le biotecnologie'.
Il Piano d'azione, studiato dall'Unione Europea, si occupa dello sviluppo dell'attività di ricerca nel settore delle biotecnologie nei vari Paesi dell'Unione. L' introduzione è stata curata da Line-Matthiessen-Guyader, rappresentante dell'Unione Europea. Guyarden ha individuato come prioritario il settore delle Scienze della Vita e ha illustrato le due principali strategie di azione. La prima consiste nel creare una stretto rapporto di collaborazione e comunicazione all'interno del settore della ricerca di base, la seconda, conseguenza della prima, consiste nell'organizzare una rete fra gli istituti di ricerca, denominata ''Network di eccellenza''.
Accanto a questi obiettivi di larghissimo respiro, il Piano d'azione si propone anche di incrementare i progetti di ricerca specifici che sono principalmente mirati a coinvolgere la piccola impresa durante la fase dello sviluppo delle tecnologie.
I settori di ricerca interessati sono essenzialmente due. Il primo è quello della genomica avanzata - come lo studio del genoma umano - il secondo riguarda la sua applicazione concreta nella cura di varie malattie cardiovascolari e, naturalmente, del cancro, attraverso lo sviluppo di nuovi farmaci e nuove terapie, come ad esempio gli xenotrapianti. L'Italia partecipa con 223 progetti che coinvolgono in tutto 523 partecipanti, tra cui 43 aziende private. Tra il 70 e il 90 % dei progetti integrati e delle reti comunitarie hanno un laboratorio italiano presente. Un riscontro positivo dunque, nonostante la partecipazione delle imprese italiane sia ancora debole e la genetica di base resti il nostro ''tallone d'Achille'', anche a causa degli scarsi finanziamenti a livello nazionale.
I venture capital tirano le orecchie al sistema italiano
''Le biotecnologie sono 'un treno' su cui l'Italia non e' salita. Il treno e' partito e noi non siamo a bordo, perche' manca la volonta' politica di investire in modo adeguato nel settore''. A lanciare un appello alle istituzioni e' Edoardo Lecaldano, presidente di Alice Venture Capital, a Padova per il Salone delle Biotecnologie 'Bionova' in corso fino a venerdi' presso lo spazio Fiera. ''Il problema fondamentale del nostro Paese e' che mancano le grandi industrie farmaceutiche. L'unica speranza restano percio' i finanziamenti pubblici, che sono insufficienti''.
I numeri parlano chiaro: ''Si pensi che per avviare un'impresa biotech sono necessari dai 40 agli 80 milioni di euro e che una societa' di venture capital di medie dimensioni investe dai 15 ai 20 milioni di euro l'anno.
Ma le 'lacune' sono anche altrove. Per tradurre l'innovazione in profitto attraverso i brevetti, necessita' evidenziata piu' volte dal ministro della Salute, Girolamo Sirchia, ''serve una 'catena di valore' che ha come attori ricercatori, universita', industrie, investitori e venture capitalist e lo Stato - ha ricordato Lecaldano - Tutti settori che in Inghilterra e in Israele, i Paesi piu' forti in assoluto nel biotech, sono ben sviluppati e interagiscono in modo organizzato, mentre in Italia hanno delle carenze. A cominciare dal fatto che i ricercatori non sono sufficientemente supportati dalle universita', che hanno scarsa propensione a generare spin-off: per numero di spin-off siamo al 12esimo posto in Ue''.
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