La depressione è ormai definita come il male del secolo, infatti sono sempre di più le diagnosi e, di conseguenza, le prescrizioni. In Italia dal 2000 al 2003 il consumo di antidepressivi è aumentato del 75%, tanto da farle guadagnare il quinto posto nella classifica europea dell’impiego di tali medicinali, dopo Francia, Inghilterra, Belgio e Spagna. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2020 un cittadino europeo su due potrebbe avere un disturbo psicologico e la depressione rappresenterà la causa principale di invalidità dopo le cardiopatie ischemiche. Malgrado ciò si stima che solo il 60-70% dei pazienti sia sensibile ai farmaci in commercio. E questo è solo uno degli aspetti che mette in forse un mercato finora florido.
Controindicazioni e guadagni mancati
Negli ultimi anni ha suscitato polemiche il consumo di antidepressivi nei più giovani; infatti, nel 2003, 40000 adolescenti in Inghilterra assumeva inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI). Nello stesso anno il Dipartimento della Salute inglese ha limitato l’utilizzo degli antidepressivi nei più giovani, in quanto numerosi studi hanno evidenziato un legame tra l’assunzione di SSRI e numerosi effetti collaterali, quali insonnia, agitazione, perdita di appetito e di peso, mal di testa, tremori e, cosa ben più grave, comportamenti suicidi e autolesionismo in giovani al di sotto dei 18 anni. Nel 2004 una review della Research Unit del Royal College of Psychiatrists si è occupata di verificare il rapporto beneficio-rischio degli SSRI nei più giovani e ne è emerso che delle cinque sostanze in esame (fluoxetina, paroxetina, sertralina, citalopram e venlaflaxina) solo una, la fluoxetina, presentava più benefici che rischi. Sulla base di tali dati la Food and Drug Administration e l’Agenzia Europea del Farmaco, hanno chiesto ai produttori di antidepressivi di aggiungere in etichetta l’indicazione di pericolo di suicidio negli adolescenti che assumono SSRI. Le conseguenze di tali predisposizioni vanno tutte a sfavore delle industrie farmaceutiche. Nel 2003, infatti, la GSK, ha guadagnato circa 5 miliardi di dollari dalla vendita del Seroxat (paroxetina), ma ha inevitabilmente subito una battuta d’arresto dal momento che da novembre a dicembre 2004 il numero di adolescenti che assumevano antidepressivi è diminuito del 16% rispetto all’anno precedente.
Un futuro bifronte
La prospettiva di un mercato sempre più stagnante, ha portato molte case farmaceutiche a scommettere su nuovi farmaci, con nuovi meccanismi d’azione, per il trattamento della depressione. La classe più promettente è rappresentata dagli antagonisti della neurochinina 1 (NK1 o sostanza P). GSK, Roche e Merck hanno già raggiunto la fase 2 della sperimentazione di queste nuove sostanze che sembrerebbero avere un profilo di sicurezza migliore rispetto ai farmaci precedenti. Un’altra area di interesse è costituita dagli antagonisti al recettore del fattore di rilascio della corticotropina, infatti mentre la Sanofi-Aventis ha un prodotto in fase di studio preclinico, la Bristol-Myers Squibb ha già raggiunto la fase2. Infine, è promettente anche la strada aperta dal farmaco Lyrica della Pfizer, un agonista dell’acido g-aminobutirrico, utile per il trattamento della depressione bipolare. Tuttavia, il futuro degli antidepressivi rimane difficile da prevedere in quanto, se da una parte ci sono nuove molecole pronte a invadere il mercato, dall’altra, il principale oggetto di studio è ancora rappresentato dagli inibitori del reuptake della serotonina.
Fonte
Frances Learner. The future of antidepressants. Drug Discovery Today, 15 agosto 2005
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